domenica 20 novembre 2011

HO AVUTO FAME E MI AVETE DATO DA MANGIARE


Vorrei imparare, Signore,
a guardare chi mi sta accanto
leggendo i suoi bisogni.

Vorrei capire ciò di cui è affamato e assetato,
di cosa ha bisogno di essere rivestito,
quando si sente forestiero o carcerato,
solo o snobbato dalla gente.

Vorrei sapere se il mio intervento
è gradito e utile, anche se non è richiesto,
per timidezza o per una ferita cocente,
perché non è un'abitudine, perché così non si usa.

Vorrei avere la forza di agire,
il coraggio di partire,
la sfrontatezza di osare.

Ed invece ho paura, 
quasi come se fossi un pioniere
in una società individualista ed pluriassicurata,
dove c'è qualcun altro che ci deve pensare,
perché è il suo mestiere;
dove si tende a nascondere ogni povertà, 
dove si ragiona sul rimediare a casa propria
chi ha attentato alla nostra tranquillità.

Eppure, è la cosa più semplice e naturale del mondo
aiutare chi ha bisogno perché è figlio di un uomo pure lui,
è amato, scelto ed unto da Dio pure lui, povero Cristo.

In Africa o qui, in albergo o in ospedale, a scuola o in galera:
ovunque qualcuno soffre, piange, si dispera.

Aiutami, Signore a superare i miei limiti.

Fammi abbracciare la causa degli ultimi, 
non per paura del tuo giudizio finale, 
ma perché solo così sarò uomo tra gli uomini,
e potrò guardarti in faccia, 
qualunque volto avrai, nella vita eterna.

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