venerdì 17 febbraio 2012

preghiera!!!

Signore,
tu ci insegni a pregare con perseveranza,
a scegliere la parte migliore,
ci insegni a ricordarci di pregare
più volte di quanto non respiriamo.
Purtroppo troppo spesso,
la preghiera è invece ai margini della nostra vita.
Le riserviamo un posto di circostanza.
Nelle nostre giornate
il tempo che vi dedichiamo è irrisorio.
Perdonaci ancora.
Tu, o Gesù, eri in continuo dialogo con il Padre.
Signore, aiutaci a pregare.
Signore, fa’ che la nostra vita diventi preghiera.
Fa’ che la nostra preghiera non sia solo parolaia,
ma fatta di fatti.
La nostra vita non sia vuoto attivismo,
ma anche orazione.
Signore, perdonaci quando
ci dimentichiamo dell’essenziale.
Insegnaci ad amare la preghiera,
ad amare te, che nei sei la fonte e l’essenza. Amen.

SPUNTI DI RIFLESSIONE (padre Romeo Ballan)

Le provocazioni abbondano nel racconto evangelico di oggi. La guarigione del paralitico e il perdono dei suoi peccati costituiscono un duplice prodigio e una bella notizia, che l’evangelista Marco narra con vari dettagli, che rispondono più ad una chiara intenzione teologica e catechetica che alla voglia di raccontare uno strabiliante fatto di cronaca. Infatti, chiunque cerchi di immaginarsi realisticamente la scena, scopre diversi dettagli alquanto inverosimili: anzitutto, la libertà che i quattro barellieri si prendono di scoperchiare la casa altrui; il numero dei barellieri non è irrilevante; non si capisce poi il perché di tanta fretta di rimuovere terriccio, canne, travi (materiali del tetto di allora), mentre pare che le “tante persone” radunate all’interno ascoltassero imperturbate, pur in mezzo al polverone, il maestro che “annunciava loro la Parola” (v. 2). Inoltre, la guarigione e il perdono dei peccati non vengono richiesti apertamente, ma sono offerti da Gesù gratuitamente: era plausibile che il paralitico e i suoi quattro si aspettassero la guarigione, però Gesù comincia con il perdono dei peccati (v. 5). Gesù stesso fa leva sulla connessione teologica fra “il potere di perdonare i peccati” e il potere di guarire il malato (v. 10-11). Queste ed altre osservazioni di tipo dottrinale e redazionale danno consistenza storica al miracolo di Gesù, e servono a spiegarne il significato salvifico, secondo il piano catechistico dell’evangelista Marco. 
Nel brano evangelico appaiono davanti a Gesù due gruppi di persone. Anzitutto, gli scribi –i noti legalisti del tempo- erano là “seduti” (v. 6), all’interno della casa, in prima fila. Sono immobili ed occupano lo spazio dell’accesso diretto a Gesù; nella loro staticità spirituale rappresentano l’istituzione giudaica ormai superata. Fuori della casa, opera attivamente il gruppo dei quattro barellieri che portano un paralitico: sono all’esterno della casa, si danno da fare, sono un modello di solidarietà, hanno fretta di incontrare Gesù, ma l’accesso è loro impedito. Portano un paralitico, che, nella sua passività e immobilità, rappresenta la realtà dei pagani e dei peccatori, i quali, soltanto incontrando direttamente Cristo, possono curarsi, rialzarsi e camminare. I quattro barellieri rappresentano il mondo intero che viene a Gesù dai quattro punti cardinali. “Ora risulta chiaro anche il significato simbolico della casa in cui Gesù è trattenuto. Rappresenta l’istituzione giudaica che pretende che la salvezza sia riservata al popolo eletto... Deve essere scoperchiata, spalancata a tutti e difatti Gesù considera un gesto di fede l’opera compiuta dai quattro barellieri” (F. Armellini). Il tema centrale del racconto odierno è il perdono dei peccati. Nella mentalità corrente, tale perdono era condizionato ad una serie di purificazioni rituali, o alla riparazione di un danno arrecato ad altri, o ad un intervento distruttore di un Dio ormai stanco dei malvagi... In questo contesto, risulta scandalosa la posizione di Gesù: chiama quell’uomo “figlio” (v. 5), a significare che per Dio anche il peccatore non pentito è sempre un figlio amato; gli offre un perdono incondizionato, senza esserne neppure richiesto, senza esigere alcun rito di purificazione; agisce con una gratuità che scandalizza chi pensava che l’uomo, compiendo certe opere o riti, poteva meritare il perdono di Dio. Al contrario, neppure il pentimento del peccatore è capace di produrre il perdono, che invece è dono gratuito di Dio, segno del rinnovamento interiore operato dalla grazia. Nell’ottica cristiana, la remissione dei peccati non significa stendere un velo per coprire una realtà negativa, una piaga, che permane, ma è la creazione di una realtà nuova. Dio trasforma dal di dentro, rinnova il cuore e la vita; non ricicla, ma ri-crea. Dio sorpassa i restauri, perché fa cose nuove. In tempi di esilio, Isaia, per superare un passato negativo, annuncia la sorpresa di Dio: “Ecco, io faccio una cosa nuova”. E presenta tre simboli di novità: un germoglio, una strada nel deserto, fiumi nella steppa. La novità di Dio, Padre fedele, si è manifestata in Cristo, nel quale tutte le promesse di Dio son: si sono compiute a nostro favore. L’abitacolo dell’uomo guarito non sarà più ristretto –come la barella a cui era inchiodato dalla malattia- ma ampio, sarà una nuova casa, la casa di tutti i figli dell’unico Padre, la comunità credente. Il miracolo ebbe luogo “sotto gli occhi di tutti”, e tutti lodavano il Dio che salva (v. 12). A tale obiettivo -il perdono dei peccati e la vita del nuovo popolo di Dio- tende la missione, come nota Luca nel mandato missionario alla fine del suo Vangelo: “Nel suo nome (di Cristo) saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati. È questa la bella notizia missionaria, che la prossima Quaresima ci invita a riscoprire ed annunciare.

il vangelo di domenica 19 febbraio 2012

VII Domenica delle ferie del Tempo Ordinario

Santo(i) del giorno : S. CORRADO CONFALONIERI, Eremita 
« Chi può rimettere i peccati se non Dio solo ? »

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 2,1-12. 
Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa
e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.
Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone.
Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico.
Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».
Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro:
«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?».
Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori?
Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina?
Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati,
ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua».
Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». 

domenica 12 febbraio 2012

PREGHIERA (Beato Charles De Foucauld)

Mio Dio, come sei buono, tu che ci permetti di chiamarti        « Padre nostro »!
Chi sono io perché il mio Creatore,
mi permetta di chiamarlo «Padre mio»?
E non solo me lo permetta,
ma addirittura me lo ordini?
Quale gioia, quale amore, ma soprattutto
quale fiducia tutto questo deve ispirarmi!
Dal momento che sei mio padre,
o mio Dio, quanto devo sperare in te!
Non solo: dal momento che sei buono verso di me,
quanto devo essere buono con gli altri!
Come devo avere per ogni uomo, chiunque sia,
per quanto malvagio sia,
i sentimenti di un tenero padre!
Padre nostro, Padre nostro,
insegnami ad avere questo nome incessantemente
sulle labbra con Gesù, in lui e grazie a lui,
poiché poterlo pronunciare è la mia massima gioia.
Possa io vivere e morire dicendo Padre nostro.
E possa con la mia riconoscenza,
col mio amore, con la mia obbedienza,
essere un figlio che piaccia al tuo cuore. 

PER RIFLETTERE A CURA DI "SETE DI PAROLA"

La lebbra è una malattia ancora diffusa tra la povera gente, che ha sempre subito la segregazione dalla comunità, per la paura del contagio, condannandoli così ad un vero isolamento 'fuori dal nostro mondo', come i tanti malati di AIDS: solitudine che è la più grande pena per un uomo, il cui 'essere' ed 'esistere' necessita di relazioni e di far parte di una comunità. Grazie a Dio ci sono tanti volontari che oggi affrontano la malattia della lebbra, guaribile con poco: a cominciare dall'Associazione benemerita degli Amici dei lebbrosi, fondata dal grande apostolo Follereau. Tra i tanti poveri che ci tendono la mano è bene ricordarsi di loro e far sentire che non li segreghiamo, ma li sentiamo vicini con l'affetto e la generosità.
La loro è una 'lebbra fisica', molto meno grave, anche perché curabile, di fronte alla 'lebbra del vizio e del male' che contagia troppi, a cominciare dall'inesperta gioventù, e non solo. Basta pensare al gran numero dei tossicodipendenti, tanti curati nelle comunità cui va il nostro affetto, la nostra lode e il nostro sostegno, perché sono testimoni della carità di Cristo, che non ha alcuna barriera. Grazie, carissimi fratelli, ovunque e con chiunque operiate. La vostra opera, come quella degli Amici dei lebbrosi è riportare a vita degna tanti che si sono lasciati ingannare dalle tante 'mode' e...droghe.
Negli atteggiamenti di Gesù c'è continuamente, come narra l'evangelista Marco, un 'modo di essere' che seguita a stupirci e avrà stupito chi lo avvicinava. Gesù non si sottrae mai dall'amare l'uomo, che è nella necessità o nel bisogno, ma impone sempre il silenzio su Se stesso. Gesù fugge per cancellare ogni errore si potesse compiere nella interpretazione della Sua missione, che era quella di 'annunciare la Buona Novella del Vangelo', Lui stesso, perché tutti Lo accogliessero, divenendo Suoi discepoli. Così Marco ci narra oggi l'incontro di Gesù con un lebbroso: “Venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi guarirmi. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci!: Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: Guarda di non dire niente a nessuno, va', presentati al sacerdote e offri la tua purificazione, quella che Mosè ha ordinato a testimonianza per loro. ma quegli allontanatosi cominciò a promulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e venivano a Lui da ogni parte” (Mc 1, 40-45). In poche righe Marco descrive una scena quotidiana di vita di Gesù, che appare come un 'mago che guarisce'. Ma, dopo le parole di commiato del Maestro, che invita il lebbroso a mostrarsi al sacerdote e la sua fuga dalla calca che lo assediava - sperando in qualche altro miracolo, e quindi 'ferma' alla salute del corpo - nascondendosi in luoghi deserti, l'evangelista lascia sospesa la domanda: 'Ma chi è costui?'.Noi forse avremmo agito in modo diverso: ci saremmo sentiti dei piccoli dèi, capaci di compiere cose straordinarie! E ce ne sono tanti in giro di questi, che si sentono 'un Dio' che fa', almeno in apparenza, cose grandi, secondo l'uomo. Sono i moderni dèì, cui la gente batte spesso le mani. Ma Gesù non è così. Rimane dunque sempre sospesa la domanda, credo in tanti: 'Chi è costui?'. Gesù sapeva bene che tanti di quella moltitudine, che, in quel momento, lo consideravano un guaritore, forse 'un incantatore di speranze', non giungendo a conoscerLo per Chi davvero era e qual era la vera guarigione di tutti gli uomini, che avrebbe ottenuto con l'incommensurabile amore della Sua passione e morte in croce, sarebbero stati gli stessi che davanti al pretorio di Pilato, avrebbero gridato, sobillati dai sommi sacerdoti e dagli scribi: 'Crocifiggilo!'. È la facile storia, anche oggi, di battere prima le mani a chi si afferma tra di noi e, nel momento del fallimento, gridare: ‘E' giusto che paghi!’. Certamente l'ammonimento e l'agire di Gesù, la sua fuga nel deserto, avrà lasciato di stucco tutti: 'Ma chi è costui, così diverso da noi, tanto che non solo schiva le lodi, ma queste gli danno fastidio?'. Se ci pensiamo bene è questo lo stile di umiltà, che tanti santi vivranno. Santi che, anche ai nostri giorni, fanno un grande bene - da batter loro le mani - ma amano nascondersi, per farci capire che Chi opera è Dio e loro sono 'la matita tra le dita Dio': scrivono le opere di Dio, a cui va tutta la Gloria e il Grazie. Forse neppure noi capiamo Gesù, quando Gli chiediamo un aiuto alle nostre necessità, malattie o altro. Davanti alle tante preghiere per casi familiari, quasi sempre di malattia, io rispondo sempre: ‘Le assicuro la mia totale comunione di preghiera, mettendola sull'altare della mia Messa quotidiana', ma, nello stesso tempo, invito ad accogliere i grandi disegni che il Padre ha su di noi e che sono l'arazzo della nostra salvezza - malattia compresa - che ha i suoi colori, a seconda del dolore.
Sappiamo, o dovremmo sapere, che Gesù non ci abbandona mai, in ogni istante della nostra vita, non solo, ma Lui traccia il sentiero su cui camminare, pronto a portare con noi la croce. Gesù sa e, come chi ama, fa tutto ciò che è in suo potere per rendere felice la persona amata.
Ma tante volte il bene che Dio ci vuole, supera le nostre 'aspettative' umane e va oltre: il fine è il Sommo Bene, la nostra felicità eterna, che tante volte non riusciamo ad intravedere, accontentandoci di un piccolo segno di amore, come il lebbroso del Vangelo. Sarebbe bello sapere dove era il lebbroso, e tutti i guariti, il venerdì santo, quando Gesù appariva come un 'reietto dagli uomini', cioè un 'capace di nulla!'. È un pericolo in cui possiamo cadere anche noi, a differenza dei tanti santi, i veri amici di Gesù, che conoscevano e conoscono il Suo amore, accettano o chiedono la sofferenza, come modo per ricambiare l'amore o 'unirsi all'Amore'. È bello leggere quello che Paolo VI scrive di Gesù: “Possiamo, noi stessi chiederci: come ci raffiguriamo Gesù Cristo? Qual è l'aspetto, caratteristico di Lui, che risulta dal Vangelo? Come, a prima vista, si presenta Gesù? una volta ancora le sue stesse parole ci aiutano: 'Io sono mite ed umile di cuore'. Gesù vuole essere guardato così, voluto così. Se noi lo vedessimo, ci apparirebbe così.
Anche se la sua figura celeste (Apocalisse) riempie di luce, questo aspetto dolce, buono, e soprattutto umile, si impone come essenziale.
Meditando si avverte che esso si manifesta ed insieme nasconde un mistero fondamentale relativo a Cristo, quello della incarnazione, quello del Dio umile, mite, che governa tutta la vita e tutta la missione di Gesù. Il Cristo umile è il centro della Cristologia di S. Agostino e impronta tutto l'insegnamento evangelico a nostro riguardo. Che cosa altro insegnò, se non questa umiltà? In questa umiltà noi ci possiamo avvicinare a Dio. Del resto S. Paolo non ha un termine che sa di assoluto, quando ci dice che Gesù 'si è annientato'? Gesù è l'uomo buono per eccellenza ed è per questo che Egli è disceso al livello infimo anche della scala umana, si è fatto bambino, si è fatto povero, si è fatto paziente, si è fatto vittima, affinché nessuno dei suoi fratelli in umanità potesse sentirlo superiore e lontano; si è messo ai piedi di tutti. Egli è per tutti, è di tutti. Oggi dopo tanto parlare di pace e di riconciliazione, la tentazione della violenza, come suprema forma di liberazione, come unico mezzo di riforma, è così forte che si parla di teologia della violenza. Si cerca di avere Cristo per sé e così giustificare atteggiamenti demagogici e quel che è peggio con parole di Lui” (27 gennaio 1971). Davanti ad un mondo che si nutre della superbia di satana, che taglia tutti i sentieri dell'amicizia e dell'amore, può forse essere difficile, ma è meraviglioso, vestirsi della stupenda veste, l'umiltà, in cui Lui stesso si nasconde - non troppo per chi ha occhi di fede e di amore -, ma è il solo modo di, non solo conoscere e 'vivere Cristo', ma di amare Lui e i nostri fratelli. Non ci resta che affidarci a Lui, con le parole del Card. Newman: “Mio Signore, mio Salvatore, mi sento sicuro tra le tue braccia. Se Tu mi custodisci, non ho nulla da temere, ma se mi abbandoni, non ho più nulla da sperare. Non so cosa, mi capiterà fino a quando morirò. Non so nulla del futuro, ma mi affido a Te. Ti prego di darmi ciò che è bene per me, di togliermi invece quanto può porre in pericolo la mia salvezza. Non ti prego di farmi ricco, non ti prego di farmi umile e povero,
ma mi rimetto interamente a Te,
perché sai ciò di cui ho bisogno e che io stesso ignoro. Se tu mi imponi dispiaceri o sofferenze, concedimi la grazia di sopportarli; preservami dall'egoismo e dall'impazienza. Se tu mi doni salute e successo in questo mondo, preservami dall'impazienza e fa' che sia sempre vigilante, affinché questi doni pericolosi non mi allontanino da Te. Tu che sei salito sulla croce anche per me, che sono colpevole, concedimi di conoscerti e credere in Te, di amarti, di servirti, di lavorare sempre perché aumenti la Tua gloria di vivere per Te e con Te. Concedimi di morire nel momento e nel modo che saranno per la Tua gloria e propizi per la mia salvezza”.

il vangelo di domenica 12 Gennaio 2012

Mc 1,40-45
La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Parola del Signore

domenica 5 febbraio 2012

Tu, o Signore, sei il nostro pane,
e senza di te non possiamo vivere;
non sapremmo dove andare senza di te,
non sapremmo cosa fare
e cosa dire senza di te.
Signore, tu sei il nostro nutrimento,
tu sei la forza che ci dona
la grazia di spezzare con i fratelli
questo nutrimento giorno per giorno.
Saremo anche noi il pane del Signore,
pane distribuito, pane diventato ostia di umiltà.

per riflettere! (tratto da Sete di Parola)

Certo che anche le giornate di Gesù non erano uno scherzo: guarigioni, ammalati da ogni parte, folle che lo cercano, discepoli che non capiscono e poi, soprattutto la preghiera. E sì, cari amici, la preghiera! Questo è ciò che fa la differenza! Ma andiamo con ordine… Abbiamo letto nel Vangelo la guarigione della suocera di Pietro. Dopo l’esorcismo della scorsa settimana, questo è il primo miracolo di guarigione raccontato da Marco. Vi devo confessare che mi ha sempre incuriosito questo testo. Come prima guarigione mi sarei aspettato un paziente affetto da una gravissima malattia, oppure considerato spacciato dai primari del tempo; magari un personaggio importante o comunque un uomo; una grande piazza di Gerusalemme e una platea ammutolita di fedeli. E Gesù che fa? Sceglie una donna (!), una suocera(!) (allettata con la febbre!) e opera la guarigione nel chiuso delle mura domestiche… Ma c’era bisogno proprio di questo intervento miracoloso di Gesù? Una bella spremuta, qualche giorno di riposo e tutto sarebbe passato! Ma per Gesù le cose non stanno così. Il Rabbi di Nazareth ci invita a guardare oltre il segno, a scorgerne il significato. La piccolezza e l’irrilevanza umana del prodigio, ci fanno intuire che dobbiamo spostare lo sguardo altrove. Non come lo stupido del proverbio, che guarda il dito a chi gli indica la luna… Nel testo due espressioni ci aiutano a cogliere il valore simbolico di questo evento: “la fece alzare” (ma letteralmente avremmo dovuto tradurre “la fece risorgere”) e “si mise a servirli”. La mano di Gesù non solo rialza dall’ immobilità della febbre, ma risveglia gli inverni del cuore, fa fiorire la primavera anche dove noi vediamo solo neve e terra brulla. La mano di Gesù contagia: toccata da quella del maestro, anche la donna inizia a servire. E’ il contagio dell’amore, della passione, di quel servizio che ci fa vivere a sua immagine e somiglianza: “sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22,27). Coraggio cari amici! Lasciamoci raggiungere dalla mano di Gesù, lasciamo che risvegli gli inverni del cuore e faccia fiorire in noi la primavera del servizio. Troviamoci pure noi un tempo e un luogo deserto per affidare al Padre la nostra giornata. Ritagliamoci ogni giorno un spazio di silenzio per umanizzare la nostra vita, per ricordarci la meta del nostro cammino, per ricordarci di guardare la luna e non il dito…

il vangelo di domenica 5 Febbraio 2012

Mc 1,29-39
Guarì molti che erano affetti da varie malattie.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Parola del Signore